mercredi, 19 mai 2021 20:01

LA DISCREZIONE di Matteo Majorano

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Il ricordo di Sylvie Pollastri nelle parole del Prof. Matteo Majorano il 19 maggio 2021 durante il rito Valdese presso la Cappella dell'Ateneo barese

 

Ogni morte ha qualcosa di inaccettabile, anche quella che giunge per chi è più avanti negli anni. Tuttavia, ogni morte può diventare meno incomprensibile per chi resta, se riconosciamo un senso alla vita che si è compiuta e ragioniamo sulla vita di chi abbiamo perso. E' questo il compito che ci tocca, altrimenti ogni morte diventa solo uno spreco.

Ciascuno di noi ha almeno due esistenze: una ufficiale e vita privata, per così dire, meno esposta. Delle due, quella che porta il significato più chiaro è, forse, quella privata. Per l'esistenza ufficiale di Sylvie dovremmo ricordare il suo percorso professionale, il dottorato in storia medievale a Paris X-Nanterre, la sua prestigiosa formazione presso l'Istituto per gli studi storici “Benedetto Croce”, le edizioni di testi medievali e i lavori sulla storia di questo periodo, gli studi di linguistica e di traduzione; dovremmo, quindi, citare l'insegnamento presso l'Orientale di Napoli, presso l'Università di Bari e poi presso l'Università “Nelson Mandela” di Matera.

Con generosità e intelligenza Sylvie ha fatto parte del GREC, di questo gruppo di studiosi della letteratura francese ultra-contemporanea, così poco “locale” da organizzare un premio letterario, il Murat, noto in Italia e in Europa, capace di scoprire scrittori poi diventati famosi; un gruppo la cui attività è finita sulle pagine culturali di “Le Monde”, su quelle di riviste accademiche, come anche su quelle di periodici destinati a un pubblico colto. Il GREC è stato un gruppo scientificamente dinamico e laborioso: ha pubblicato decine di volumi di saggi e di monografie su temi originali e precursori, interventi costantemente citati da autorevoli ricercatori appartenenti a Università di ogni latitudine. Da questi pochi dati ricaviamo già qualcosa della personalità di Sylvie: la sua passione per una storia remota nel tempo, perché anche quella storia contribuisce a spiegare il presente; la sua attenzione per la traduzione, per gli strumenti che mettono in contatto, mondi e civiltà separate dalla diffidenza; la riflessione sui fenomeni della linguistica, sugli elementi di costruzione della comunicazione, senza cui è impossibile l'articolazione del pensiero e, infine, la sua curiosità anche per una ricerca lontana dai suoi primi interessi, la letteratura dell'extrême contemporain, con la volontà di partecipare a un'impresa inusitata e corale.

Se volessimo trovare una indicazione per noi in quello che ha costituito il suo profilo istituzionale e scientifico, dovremmo dire che lei ci ha lasciato un invito preciso: “Cercate ciò che si trova nell'ombra per portarlo alla luce, insegnandolo agli altri, a chi non sa, ma vuole sapere”.

Sulla vita meno esposta, su questa vita seconda, che spesso ignoriamo o consideriamo a torto secondaria, anche su questa Sylvie ci ha lasciato una traccia da seguire, perché, oltre a studiare e insegnare, lei faceva altro e lo faceva con convinzione e con delicatezza: dipingeva acquerelli, in modo che un fiore diventava molto più di un fiore, un'immagine complessa e suggestiva. Sapeva che non ci sono due fiori uguali e che non ci sono fiori senza metafora: tutto è differenza.

E non solo: lei scriveva, soprattutto cercava la scrittura, la scrittura letteraria e ci dimostrava quanto sia difficile trovarla, ma poi con coraggio pubblicava, pubblicava a sue spese, e anche così testimoniava quanto oggi sia difficile emergere, in un ambiente editoriale contraffatto, dove, se non sei espressione di un gruppo di potere già affermato – della stampa, del cinema o della televisione, della musica, della politica – esisti senza essere. Oggi, in una società dove anche l'ultimo rapper sguaiato e ignorante si definisce “artista”, gli scrittori autentici hanno grande difficoltà a trovare spazio: dominano la banalità quotidiana, il culto di una stranezza immotivata, la presuntuosa autobiografia mascherata da romanzo, l'esaltato regionalismo delle radici. Intanto, la letteratura, quella vera – come profetizzato molti anni or sono da un grande della letteratura – è tornata alla sua autentica condizione, la clandestinità o almeno all'elusione. In questa vita seconda, o intima, Sylvie, con i suoi libri, e con il suo L'écrit, ci ricorda che la scrittura è ricerca faticosa, progettazione, equilibrio tra le parti, invenzione e narrazione, e che le parole, ogni parola e ogni virgola, contano.

Un tratto essenziale di Sylvie è stata la sua discrezione, la sua riservatezza: lasciava trasparire poco, molto poco della sua vita e, in un mondo dove non c'è più alcuna distinzione tra pubblico e privato, in un mondo senza vergogna, già questa cautela la rendeva un'eccezione e le conferiva un valore aggiunto, una dimenticata eleganza. E tuttavia, malgrado la discrezione, dai suoi comportamenti qualcosa è trapelato. Nessuno l'ha sentita mai dire: “Ormai, per me è tardi per ricominciare...”. Ha vissuto, infatti, come se ogni suo giorno fosse il suo primo giorno. Anche se era già tardi, assurdamente tardi. Ha vissuto senza mai rinunciare a quel poco o a quel molto che il destino concede a ciascuno degli umani.

Per queste ragioni, in fin dei conti, desideriamo dirle che le siamo grati per ciò che ci ha dato.

 

Matteo Majorano

19 maggio 2021

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