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Martedì, 31 Dicembre 2013 07:57

Gli invisibili

Scritto da 

invisibilidi Matteo Majorano

In queste settimane lo scambio d'auguri è un crescendo.

Si tratta di espressioni di cortesia rituale, alla fine di un anno spesso consumato, serenamente, tra sgarbi e gesti di maleducazione, se non di inciviltà (cosa volete che sia passare in auto, più volte al giorno, con il semaforo rosso, a rischio di piallare i malcapitati sulle strisce?). Quasi quasi non viene più voglia di farli questi auguri durante la Sagra dell'Ipocrisia degli ultimi giorni dell'anno.

Eppure, per le strade di Parigi, in questo clima di fredda festa forzosa, se ne incontrano tanti di barboni (quelli che alcuni giornalisti dei telegiornali italiani, per far fino e dimostrare la vastità della loro cultura, chiamano clochard : quando si deve parlare di miseria, una paroletta francese quasi cancella la realtà).

S'incontrano barboni di ogni tipo, - giovani, di mezza età, coi capelli bianchi - di ogni professione - operai, informatici, ingegneri - solitari o in gruppi, in ogni luogo, sdraiati sulle bocche di aerazione del métro per riscaldarsi e sotto i portici, nei punti in cui la strada crea una piega, quasi un anfratto per ripararsi dal freddo, all'uscita dei supermercati per aprirvi le porte. C'è quello cui resta una cuffia per ascoltare musica, quello che legge una vecchia edizione delle Mémoires d'outre-tombe, quello che sfoglia vecchi giornali con cui si è riparato la notte, quello che dalle prime ore del mattino è già ubriaco, quello che accarezza un cagnetto dal pelo malmesso, unico suo affetto residuo, quello che insulta senza sosta i passanti, e in particolare le donne, e quello che in una laverie publique approfitta di una lavatrice non sorvegliata per infilare i propri panni dentro e toglier loro l'odore della strada.

Loro, i barboni di Parigi (di tutte le Parigi del mondo, piccole e grandi) sono gente senza volto perché nessuno osa guardarli. Fanno paura. Sono l'immagine di quello che potrebbe toccare a chiunque, nella guerra che è in corso da anni e che si fa a colpi di diktat finanziari e salvataggi di banche, una guerra senza missili e cannoni. Oramai si muore lentamente, senza ferite, in solitudine, quasi fosse un caso personale. La guerra fatta con le armi è la guerra di una volta, da utilizzare semmai ancora nei Paesi lontani da questa Europa che si spegne lentamente, per estenuazione storica prima che economica, nella indifferenza di chi a Bruxelles dirige l'orchestra.

Allora, niente auguri ecumenici e di circostanza per l'anno nuovo. Solo questo augurio per i barboni, gli uomini invisibili, quelli per i quali, ovunque essi siano, il passaggio da un anno all'altro non sembra significare più niente. Che possano tornare a essere persone in grado di riprendere nelle loro mani il filo delle loro vite.

Ultima modifica il Lunedì, 05 Ottobre 2015 16:19

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