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Mercoledì, 23 Ottobre 2013 14:05

"Un homme perdu", storia di due innocenze

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photo Isabelle Desesquelles 3 copiea cura di Giusi Alessandra Falco

Intervista a Isabelle Desesquelles, che racconta ai lettori italiani il romanzo vincitore del Prix Murat 2013

Ha appena vinto il Prix Murat, col romanzo Un homme perdu, conquistando i lettori italiani che l'hanno votata, con un testo non facile. Ora, tornata a casa, sta per dedicarsi a tempo pieno alla "casa della scrittura" che ha fondato, e che aprirà presto le porte agli autori che vorranno uno spazio di solitudine per creare le loro narrazioni. Isabelle Desesquelles è una scrittrice che non pone limiti alle sue storie, che sa sempre scegliere le parole più adatte per raccontare quello che non si vede ma che è lì, sotto gli occhi di tutti. E scrive libri che continuano a parlare, anche dopo aver voltato l'ultima pagina: Un homme perdu non ha ancora smesso di sorprenderci.

Uno dei principali nuclei narrativi del suo romanzo è quello di una giovane madre che nasconde suo figlio: qual è il valore simbolico che attribuisce a questo gesto?
Credo si tratti soprattutto di una dualità: la giovane donna è una madre amorevole, si sforza di coltivare la tenerezza, la dolcezza, l'amore per la letteratura e per le parole, in suo figlio. Allo stesso tempo, deve fare i conti con una violenza intima e privata, quella che la vita le ha inflitto quando l'ha resa orfana, quando le ha fatto conoscere la guerra, quando le ha dato un'esistenza priva di protezioni, che l'ha resa troppo presto ragazza-madre. A suo modo, "Petite maman" – come la Desesquelles la chiama, nel romanzo – è certa di non stare imprigionando suo figlio: mi fa pensare a quegli animali che covano i loro piccoli. Solo che lei non lascia andare il suo, perché vuole difenderlo da quello stesso mondo che l'ha profondamente ferita. Direi che lo protegge, piuttosto che nasconderlo, gli offre un riparo, ed è per questo che non la giudico per quello che fa. Nel romanzo, scrivo che una madre ha tutti i poteri; ora, questo "potere" ha senso solo se gli si scrive accanto la parola "dovere". Credo che, in fondo, le faccia comodo nasconderlo: il suo comportamento è a metà strada tra amore ed egoismo. Quella giovane madre è una combattente, a suo modo, e non vuole fare del male al suo bambino, perlomeno non in maniera consapevole: si porta dentro uno spazio immerso nelle tenebre.

Cosa c'è dietro l'aspetto fisico del protagonista?
Non avevo affatto pensato al suo aspetto, quando ho immaginato la storia; è venuto naturale, nel corso della scrittura. Non era nei miei piani e non era mia intenzione creare un personaggio mostruoso, al contrario. Ci sono fondamentalmente due ragioni che hanno fatto sì che il mio protagonista avesse un labbro leporino: la mia storia famigliare, che è venuta ad intrecciarsi con la scrittura e la connotazione da romanzo noir che questo aspetto avrebbe inevitabilmente conferito al mio romanzo. È un romanzo di sgomento, mi piace l'idea di aver scritto lo sgomento.

Nel suo romanzo si parla di amore filiale: qual è l'importanza che lei attribuisce a questo tema?
Ho cercato di immaginare qualcosa che avesse un legame con l'incubo e, allo stesso tempo, con le bellezza; quella madre e quel ragazzino sono solo due innocenze che si amano male, che sono abitate dal sensibile e che non smettono mai di amarsi. Anche se lo fanno in modi diversi: lui, che non s'è mai ripreso dal semplice fatto di essere nato, che è una ferita vivente, decide di cancellare tutto; lei, invece, non può rinunciare alla possibilità di una forma qualunque di felicità, ma non agisce contro suo figlio. Direi, piuttosto, che agisce per se stessa. Con questa storia, volevo portare la dolcezza e il senso del pudore laddove non ce n'erano.

Il giovane protagonista del romanzo passa gran parte del suo tempo a scrivere il suo diario e a leggere romanzi; in questo modo, la pagina scritta diventa uno dei personaggi più importanti di Un homme perdu. Che ruolo ha la scrittura, all'interno della storia?
Vorrei prima di tutto precisare che non ho cercato il lirismo, in questo romanzo: non potevo andare in quel senso. Volevo costringermi ad essere qualcosa di più nudo, di più spoglio. La scrittura, la presenza della pagina scritta, è un'altra delle costanti dei miei libri così come della mia stessa esistenza, perché rappresenta la potenza della letteratura.
È per questa ragione che i libri sono degli amici, per il ragazzino del mio romanzo, ed è per questo che accompagnano il fluire della sua vita. Se poi immaginiamo che tutta la sua vita si svolge in una stanza sola, se proviamo a spostare tutto quanto in uno spazio chiuso, vediamo bene che la solitudine, il tempo "domato", sono i migliori terreni di coltura per l'immaginazione e, quindi, per la scrittura.

La storia che lei racconta mette in scena rapporti umani attraverso diverse età: quella dell'uomo borghese che ha avuto una relazione con "Petite maman" e che le offre un lavoro e un tetto, quella della giovane madre, quella dei due bambini. Qual è l'immagine del rapporto tra generazioni diverse che lei voleva trasmettere, attraverso questo romanzo?
Volevo prima di tutto parlare di cosa possa significare la crudeltà di crescere senza un genitore, senza quello sconosciuto che, nel mio romanzo, è il padre. Poi, volevo affrontare la questione delle trasgressioni e dei tabù e di ciò che può rappresentare la ripercussione delle ferite del passato sul presente di un essere umano; perché tutti ereditiamo le pene e le cicatrici di chi ci ha preceduto. Le ereditiamo senza capire bene dove esse siano e da dove arrivino. Il dolore "ereditato" può renderci interessanti, può renderci persone che ci costruiscono contro il dolore, e, nel farlo, si agguerriscono.

Ha accennato al tabù, e vorrei tornare con lei sull'argomento, perché, secondo M. Majorano, uno degli aspetti fondanti della scrittura letteraria risiede nella sua capacità di dire l'indicibile. In un certo senso, l'indicibile ha a che vedere col tema del tabù. Potrebbe precisare il peso che la ricerca dell'indicibile assume, nella sua narrazione?
Considero la letteratura uno spazio dove si può raccontare o lasciar trasparire ciò che il mondo in cui viviamo ci impedisce di dire o di fare. Non voglio affermare che i tabù debbano essere infranti ad ogni costo, ma ritengo che debbano perlomeno addomesticati. Quando scrivo, cerco di vietare a me stessa che un divieto possa rappresentare un ostacolo, per la mia scrittura.
Nel mio ultimo romanzo – quello che ho appena finito di scrivere –, ad esempio, ho esplorato alcuni misteri femminili legati al piacere e alla fragilità, e non ho potuto impedirmi di farlo in modo frontale, quasi crudo. Non si parla mai della distruzione interiore che un aborto può provocare, nella donna, né del fatto che la nascita di un figlio può, in alcuni casi, separare i genitori. Mi impegno ogni volta ad andare fino in fondo, nelle mie, "esplorazioni", perché scrivo per la voce della mia verità che risuona, che mi chiede di farlo.

LA SCRITTRICE

Isabelle Desesquelles è una scrittrice francese, nata nel 1968.

Da sempre legata alla letteratura e ai suoi personaggi, ama scegliere le sue letture in base alla scansione del tempo delle sue giornate.
Per poter passare ancora più tempo tra i libri, ha gestito, per anni, una libreria, a Tolosa, e si è lasciata ispirare dall'odore delle pagine per il romanzo, "Fahrenheit 2010", pubblicato, tre anni fa, in Francia, da Stock.
Dal 2004, si dedica con costanza alla scrittura ed è apprezzata dal pubblico francese. Vincitrice del Prix des Lecteurs de la Bibliothèque de Petit Mars, nel 2006, per il testo "La vie magicienne", quest'anno è stata premiata dai lettori italiani del Prix Murat – Un romanzo francese per l'Italia, per il romanzo "Un homme perdu", che ha ricevuto 328 voti su 639 votanti.
Ha appena finito di scrivere un altro romanzo, che uscirà in Francia il prossimo anno e, nel frattempo, ha fondato una "casa della scrittura", aperta agli autori in cerca di uno spazio di solitudine per la scrittura delle loro storie.

BIBLIOGRAFIA
Je me souviens de tout, Paris, Éditions Julliard, 2004
La Vie magicienne, Paris, Éditions Julliard, 2006 (Prix des Lecteurs de la Bibliothèque de Petit Mars)
Le Chameau le plus rapide du désert, phot. d'Alain Sèbe, Paris, Éditions du Chêne, coll. « Chêne jeunesse », 2006
La mer l'emportera, Paris, Éditions Flammarion, 2007
Quelques heures de fièvre, Paris, Éditions Flammarion, 2009
Fahrenheit 2010, Paris, Éditions Stock, 2010
Un Homme perdu, Paris, Éditions Naïve, 2012 (Prix Murat – Un romanzo francese per l'Italia 2013)

Ultima modifica il Giovedì, 24 Ottobre 2013 16:27

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