mercredi, 27 novembre 2013 08:00

Chi ha paura dei premi letterari?

Written by 

premidi Matteo Majorano

La stagione dei premi letterari non conosce più tregua, al massimo periodi di minor intensità, ma oramai la si può considerare un ciclo annuale continuo.

I premi letterari tra Italia e Francia, solo a voler considerare questi due Paesi, sono una vera galassia e ogni borgo aspira, accampando ragioni culturali disparate, a proporre un proprio premio, che sottintende, però, una motivazione economico-commerciale ben più solida.
Non vogliamo fare moralismi e la ragione economico-commerciale non ci affligge né tanto né poco, anche perché non dimentichiamo che una parte cospicua del genere umano ogni giorno va a fare un qualche lavoro per la "buona causa", cioè per un salario, uno stipendio, un onorario, una remunerazione, un emolumento, un guadagno qualunque (e chi non ha, o non ha più, un lavoro che gli frutti un reddito non se la passa certo bene). L'economia porta il mondo sulle sue spalle in precario equilibrio
Torniamo alla catena di montaggio dei premi letterari. Cosa c'è nei premi letterari che c'interessa? Semplice, il meccanismo, o dovremmo dire, i meccanismi. Ne indichiamo due, quelli che ci sembrano più meritevoli di attenzione.
Primo meccanismo: l'economia derivata. Quale che sia l'ammontare del premio, da quelli più avari (Goncourt e Pulitzer) a quelli più generosi (Nobel), ciò che conta è l'"economia derivata", cioè il movimento economico-finaziario globale che viene messo in moto dal premio assegnato, attraverso cui sono in molti a camparci (in molto diversa misura), dall'editore al precario della stamperia. In realtà, i benefici ricadono a rizoma su molti, pur se in perfetta iniquità.
Secondo meccanismo (e questo ci interessa ben di più): la competizione metaforica. Il premio letterario è una delle infinite forme di competizione umana: nulla sembra appassionare di più gli uomini che vedere individui, o gruppi o squadre, o fazioni, o partiti, scontrarsi, con qualunque mezzo lecito, e spesso illecito, per imporsi su altri, prevalere, conquistare un "premio", una coppa o, in alcuni casi, il potere politico. Gli aspetti negativi di questo comportamento umano, non so se iscritto o meno nel codice genetico dell'umanità, sono evidenti: si tratta di una lotta e, quindi i lividi non mancano, anche quando la violenza è solo forma immateriale o metaforica. Nessuna certezza, poi, che il premio sia assegnato all'opera (e allo scrittore) migliore. Anzi. La forza in queste competizioni si esprime, talora, in termini di "conoscenze", che nulla hanno a che vedere con la qualità della scrittura e con la forza della narrazione.
E tuttavia, ogni premio, anche quello peggio assegnato, ci ricorda che alla base delle attività umane, che lo si voglia o no, c'è l'opposizione, talvolta anche feroce. Un premio letterario, però, non fa di un modesto autore un Omero, e non fa neppure morti, feriti, o prigionieri.
Che ben vengano i premi letterari. I tanti premi non faranno forse aumentare i lettori, ma, talvolta, ci regaleranno un buon romanzo. I premi letterari sono come tutte le cose degli uomini: ci sono pagliuzze d'oro e molta fuffa.
E poi, per fortuna, non ci sono solo i premi: le strade della letteratura sono infinite.

Last modified on lundi, 05 octobre 2015 16:20